mercoledì 1 agosto 2007
martedì 31 luglio 2007
Possibilie che non si capisca che la bontà o meno della tassa sul lusso non c'entra un fico secco? Così come va lasciata nel cassetto la bandiera degli ultras pro o contro Soru? Qui, ha ragione Pietro Ciarlo, c'è in gioco qualcosa di molto più importante, anzi uno dei principi centrali della nostra Costituzione: il principio di eguaglianza. E su questo non si scherza, non sono ammesse superficialità o approcci che sull'aspetto formale facciano prevalere profili sostanziali e di merito.
Anni fa il presidente della Provincia di Milano, una ex cantante passata alla destra, suscitò la giusta indignazione di molti, limitando alcune sovvenzioni scolastiche agli studenti residenti. Una misura venata di un odioso spirito razzista verso gli studenti figli di extracomunitari. Domani la Regione Lombardia potrebbe imporre un tributo a tutti gli italiani residenti da Roma in giù che si rechino in quella operosa città. In una versione classista, il balzello potrebbe imporsi solo a coloro che hanno un alto reddito e il ricavato potrebbe essere destinato ai lavoratori ultracinquantenni privati del loro posto di lavoro.
Come si vede, una volta infranto il principio di eguaglianza, ognuno può sbizzarrirsi a pensare misure di destra o di sinistra che introducono dei distinguo fra cittadini.
Confesso: personalmente ai ricchi (alla Briatore) imporrei non solo la tassa sul lusso, ma anche una delle vecchie corvées (una prestazione personale), ancora esistenti in Italia negli anni '50, e cioè gli chiederei, se vuol trascorrere l'estate da noi, di dissodare, con pala e piccone, uno dei tanti assolati e incolti campi di Gallura. Forse la prestazione contribuirebbe a migliorarne non solo la linea, ma anche l'umanità e la condotta.
Ma che c'entra? Il problema è se questa misura, vigente l'articolo 3 della Costituzione, sia ammissibile. Personalmente, sopratutto sotto questi chiari di luna, in cui la Costituzione è sotto attacco sul fronte sostanziale (e presto lo sarà di nuovo su quello formale), io non baratterei il principio di eguaglianza con nessuna misura, lo proteggerei come il bene più prezioso, come la pupilla degli occhi.
venerdì 27 luglio 2007
Ho rispetto del lavoro degli altri. Ma qualcosa su questo documento vorrei dirla anch'io. Non lo condivido. Non condivido l'impostazione fortemente verticistica che è stata data all'organizzazione. Questo statuto non ha nulla a che vedere con l'idea di movimento che parte dal basso, coinvolgendo persone della società civile. Che è quanto si è abbondantemente ripetuto fino ad ora. Perché le parole finora sono state bellissime. Ma i fatti, gli atti, gli scripta, che manent e dettano le regole, sono bruttissimi. E tradiscono le premesse e le aspettative. Senza pietà.
Leggendo lo statuto, parte della robusta fiducia che avevo riposto nel progetto di SD mi è venuta a mancare. Comincia a serpeggiare nel mio animo l'orrendo sospetto che tutta l'operazione SD, al pari di quella per il PD, sia un processo di crioconservazione a beneficio di qualche depositario della Verità politica, impegnato soprattutto e tutt'al più a difendere e rinsaldare le posizioni di un qualche suo luogotenente. E bisogna dire che in Sardegna, da questo punto di vista, non ci siamo fatti mancare nulla.
Ma voglio essere ottimista e pensare che siamo ancora in tempo a correggere il tiro. Ricordo perfettamente la giornata del 5 maggio a Roma e il bel clima che tutti abbiamo respirato, allargando bene i polmoni per ossigenarli con la fondata speranza che una politica diversa, una politica migliore fosse possibile. Tutte quelle belle parole sulla rivoluzione culturale politica e sulla partecipazione buttate al vento!
E sì che Salvi l'aveva preannunciato: «Non vi deluderemo!». Quanto ha stonato quella frase con tutto il resto! Come se noi fossimo nelle loro mani, alla stregua di soggetti poco pensanti in attesa del Verbo. Ecco la fine che ha fatto la concezione democratica del movimento … All'apparir del vero tu, misera, cadesti …
Per entrare nel merito della questione, comincio ad analizzare il ruolo degli iscritti, ovvero di tutte quelle persone che, aderendo al movimento, devono farsi, a mio modo di pensare, democraticamente protagoniste del movimento stesso. Ebbene, il ruolo concepito nello statuto per gli iscritti è a dir poco fondamentale: essi hanno il diritto di partecipare all'attività dell'Associazione (… ma non era un movimento?) e, mano al portafogli, annualmente, l'obbligo di versare la quota di iscrizione.
Dette così, senza specificare altro, le parole “attività dell'Associazione”, chissà perché, mi evocano l'immagine del popolo grondante di sudore impegnato ad arrostire salsicce alle feste, o con le bolle ai piedi dopo una bella giornata di volantinaggio; o anche l'immagine della parte un po' più intellettuale del popolo, impegnata in interminabili discussioni, leggermente fine a se stesse, su temi, però, alquanto importanti. Quest'ultima immagine prende concretezza grazie alle delucidazioni di un articolo successivo, dove si dice che territorialmente ci si può persino organizzare in circoli di studio o tematici.
In fondo, che cosa dovrei aspettarmi da persone cresciute politicamente nei DS? L'impostazione mentale è quella. Non si riesce proprio a concepire, se non a parole, il cambiamento vero delle cose.
Poi c'è questo bell'organismo denominato “Comitato Promotore” che è ingessato nelle figure dei delegati nonché de-le-ga-te al congresso DS. Ed è qua che in realtà gli autori dello statuto danno fondo al concetto di “movimento allargato alla società civile” (di più, evidentemente, non si poteva concepire da ex DS): infatti ben un terzo del comitato promotore può essere costituito da personalità varie, a patto che il loro ingresso sia approvato dal comitato promotore stesso, che, almeno nella fase di start-up, è composto dai soliti noti delegati al congresso dei DS.
Io non ce l'ho contro i delegati. Tutte persone di grande spessore. Solo che ho difficoltà a capire, ed è un mio limite, come abbiano fatto ad approvare questo statuto. E il pensiero che queste stesse persone abbiano il delicato compito di decidere se una personalità sia o meno all'altezza di entrare a far parte del comitato promotore, mi lascia perplessa.
Allora, davanti a tutte queste misure di sicurezza, mentre scorro il documento, mi viene da pensare che almeno il comitato promotore, così rigidamente strutturato e concepito, con tutto questo potenziale intellettivo di personalità esterne e, mi permetto di aggiungere, di delegati al congresso dei DS, abbia un certo rilievo politico all'interno del movimento. E invece, come si poteva capire dal nome, il compito del comitato promotore è quello di lanciare la fase di adesione al movimento.
E credo a questo punto di poter cogliere finalmente l'idea davvero innovativa di questo bello statuto (concepito in teoria per regolamentare un movimento politico allargato e di largo respiro), che è quella di scomodare le personalità del mondo civile non per usufruire egoisticamente del contributo che queste potrebbero dare in termini di contenuti e di idee: no! Per metterle molto più generosamente, senza approfittarne troppo, in vetrina. All'unico scopo di recuperare adesioni. Un vecchio trucco di partito, quello di mandare avanti facce spendibili, per allargare i consensi, mentre le fila sono tenute da altri.
Dopo un'organizzazione di questo tipo, che consente senza dubbio di creare un movimento che parte dal basso, perché, non scordiamolo, dà agli iscritti il diritto di partecipare alla non meglio identificata “attività dell'Associazione”, purtroppo ai soci fondatori resta solo il potere di assumere decisioni di carattere statutario e politico.
E non ci deluderanno. Tranquilli!
Per fortuna esiste anche un direttivo. Il direttivo è costituito, oltre che da parlamentari e varie figure istituzionali di SD, anche dai coordinatori delle regioni e delle città metropolitane.
Ora, che dopo lo scempio compiuto ai danni della democrazia nei precedenti articoli, non si spenda neanche una parola su come si diventa coordinatore regionale e di città metropolitane (ovvero se per elezione democratica o per investitura), è fatto puramente casuale. È una svista. Ovviamente. D'altronde si tratta di uno statuto provvisorio. Non sottilizziamo. Chi rappresenta il coordinatore regionale? I soci fondatori e le loro idee agli occhi degli iscritti ovvero gli iscritti e le loro idee agli occhi dei soci fondatori? Mah!
A questo punto dirò una cosa forte, Salvi e tutti i soci fondatori si siedano onde evitare malori: potere al popolo. Non vi deluderà!
Le idee sulla linea politica devono venire dal basso, dalle personalità così come dalla gente comune. Tutti devono potersi esprimere. La sfida è proprio questa. Stimolare la società civile affinché si convinca che il suo contributo e la sua partecipazione sono necessari se si vogliono risollevare le sorti del Paese. Le decisioni di carattere statutario e politico devono essere prese dalle assemblee degli iscritti. I dibattiti sui vari temi non si devono tenere solo tra iscritti chiusi nei circoli; lo sforzo continuo deve essere quello di coinvolgere ogni volta persone nuove. Anche solo trovare il modo di far ciò risolve l'aspetto partecipativo del movimento.
Non è facile, ma dobbiamo tentare con tutte le nostre forze. E soprattutto i dibattiti devono preludere e si devono concludere con la presa di decisioni da pesarsi poi sull'onesto piatto della bilancia democratica sia a livello locale che nazionale. Il cuore pulsante del movimento non possono essere i delegati al congresso dei DS. Abbiate pazienza! Con tutto il rispetto. E invece nello statuto tutto ruota intorno a loro. E intorno ai soci fondatori.
Il cuore pulsante, da cui il movimento può trarre forza, può essere solo la società civile. Anche per sfaldare una volta per tutte la dicotomia elettore-politico. L'elettore deve essere persona politica, persona che si occupa di politica. La partecipazione di tutti comporta l'innesco vitale di un conseguente processo di responsabilizzazione di tutti. Anche l'atto di andare a votare assume un significato diverso, più completo. Mentre la società ha bisogno di una vera e propria rieducazione, riabilitazione all'uso del proprio potere civico, questo statuto la relega ancora una volta all'eterno ruolo di elettrice passiva, stimolata tuttalpiù dal richiamo del nome della personalità di turno.
Perché siamo caduti così in basso? Stavamo andando bene! Insomma questo non è lo statuto di un movimento. Questo è lo statuto di un partitino. Partitino che vola anche piuttosto basso, direi.
Forza signori, ricominciamo daccapo. Dalle parole che ci siamo detti il 5 maggio.
giovedì 26 luglio 2007
di
Ho letto in questi giorni la bella biografia che Marco Gervasoni ha scritto su François Mitterand, l’uomo che riuscì a portare tutta la sinistra francese al governo ma solo dopo averla unita: un progetto ambizioso e quasi impossibile, in Italia e in Sardegna. Il panorama non è esaltante; se penso alla creazione di un gruppo come quello di Sinistra Autonomista in Consiglio Regionale, il quale sembra interessato solo a chiedere un assessore al presidente Soru, mi chiedo: e così che si vuole parlare ai cittadini e alla “sinistra diffusa”? Si costruisce in questo modo l’alternativa al Partito Democratico Sardo? Uscendo sui giornali solo per richiedere posti di governo? Quanto ci servirebbe anche in Sardegna, invece, una sinistra di governo, socialista, democratica, costituzionale, ricca di spirito critico e capace di leggere veramente la società senza opportunismi o luoghi comuni! Come non vedere il potenziale enorme presente nella società sarda, ad esempio la forte richiesta di eguaglianza, che è poi la vera e più profonda ragione che rende alternativa la sinistra dalla destra, come ci ha insegnato Norberto Bobbio?
Eppure basterebbe dare un sterzata forte al modo di fare politica, recuperando una dimensione etica e riducendo i privilegi della classe di governo e di opposizione che provocano sofferenza ed indignazione in un momento in cui la precarietà sta dilaniando la qualità della vita dei cittadini. Mettendo da parte i radicalismi senza politica, come ci hanno insegnato grandi uomini della sinistra europea come Enrico Berlinguer e Olof Palme, e ponendosi seriamente il problema di come affrontare e governare i grandi problemi della società contemporanea, riflettendo su quale debba essere il profilo della cittadinanza, e il nostro essere sardi, nella società globalizzata e come ridisegnare in base a tutto questo obiettivi e pratiche della sinistra.
Solo così si potrà lavorare alla costruzione di una grande forza progressista, saldamente ancorata all’esperienza del socialismo europeo. Dobbiamo farlo perchè la nostra è una realtà in cui si è pericolosamente arrestata la mobilità sociale, proprio come avveniva prima del miracolo economico degli anni Sessanta: chi nasce all’interno di una famiglia benestante rimane tale per tutta la vita, mentre chi proviene da una famiglia di medie o basse condizioni, anche se laureato, rischia di non veder migliorate le propri condizioni rispetto ai propri genitori. Una sinistra capace di rinnovarsi realmente sotto il profilo culturale, programmatico e morale potrà affrontare inoltre la sfida per uno sviluppo diverso e di qualità, a partire dalla questione ecologica e ambientale; quella per la piena parità fra uomo e donna nel mondo del lavoro, in politica e in famiglia; quella per la libertà di ciascuno di poter costruire il proprio futuro affettivo e familiare secondo le proprie aspettative ed inclinazioni, rispettando in maniera laica e non laicista le scelte di tutti.
Senza un grande rimescolamento culturale la sinistra, anche in Sardegna, rischia solo di avere una mera funzione di testimonianza e di farsi stritolare dalle ambizioni particolaristiche coltivate da molti dei suoi attuali, e oramai decisamente vecchi visto che sono gli stessi da oltre venticinque anni, “leader”; è questo il momento di uscire allo scoperto per provare a ridare dignità al socialismo e alla sinistra sarda.
giovedì 19 luglio 2007
Quel 19 luglio del 1992 me lo ricordo bene. Avevo quindici anni e con mia sorella sonnecchiavo di fronte alla televisione di mia nonna, ad Orani. Improvvisamente venne annunciata un'edizione straordinaria. Una frase secca del telegiornale: «Strage in via d'Amelio, trucidati il giudice Borsellino e gli agenti della scorta».
C'era anche una giovane poliziotta sarda dal luminoso sorriso in quel tragico pomeriggio: si chiamava Emanuela Loi. Anche lei fu travolta insieme al giudice dalla tremenda carica di esplosivo preparata da Cosa Nostra contro quello che, eliminato Giovanni Falcone, restava il nemico principale.
La mia generazione è stata segnata da quei fatti perché ha vissuto in diretta lo sgretolarsi della Nazione sotto i colpi di Tangentopoli e di uno stragismo mafioso cruento e senza pietà: come non ricordare le immagini dei funerali degli agenti morti, con la folla inferocita che inveiva contro le autorità venute da Roma?
Certo, come scrive Alexander Stille nel suo bellissimo libro “Nella terra degli infedeli. Mafia e politica”, appena edito da Garzanti, ci fu anche una reazione rabbiosa da parte della società italiana: ma dopo dove è finita?
Perché la magistratura, che si era rivelata allora uno dei corpi sani dello Stato, è stata sottoposta in questi anni a continui attacchi da parte di un potere politico cinico e pronto a sfruttare le proprie risorse in chiave personalistica?
Sono forse sfumati definitivamente quei valori repubblicani incarnati da Borsellino e dagli agenti della sua scorta come l'onestà, il servizio disinteressato per la Patria e i propri concittadini, la dirittura morale come prima regola della vita politica e amministrativa?
Certo, oggi rabbrividiamo dopo aver letto la notizia apparsa ieri sui principali quotidiani di un'indagine in corso da parte della procura di Caltanissetta che starebbe indagando su personaggi dei servizi segreti deviati “stranamente” presenti sul luogo della strage in quell'estate di quindici anni fa; c'era e c'è un'aria strana in questa nazione, e non siamo nell'ultimo importante romanzo di De Cataldo ma nel paese reale.
A maggior ragione, quindi, in un momento in cui si parla tanto di crisi della politica, di un'Italia che non riesce ancora a trovare la sua normalità, è doveroso ricordare la figura di Borsellino e quanto sia importante lottare per un Paese dove la legalità e il senso dello Stato vincano sempre sulla corruzione e sul crimine organizzato.