giovedì 19 luglio 2007

CRONACHE DAL TITANIC.
di
Tonino Dessì.
Sfido chiunque a spiegarci quale sia il contenuto dell’”ampia verifica” richiesta dai partiti della maggioranza di centrosinistra nel confronto col Presidente della Regione. La crisi si è aperta nel settembre-ottobre 2006 (con le dimissioni di ben tre assessori) ed ha continuato a strisciare, sia pur compressa da un meccanismo politico e formale che non facilita soluzioni democratiche. E’ passato quasi un anno e sono emersi diversi nodi su cui una seria messa a punto dell’operatività della Regione a due anni dalla fine della legislatura dovrebbe incentrarsi. Funzionamento delle istituzioni: la legge statutaria non ha soddisfatto nessuno. Non solo i promotori del referendum, ma nemmeno la Giunta, che ha proposto, prima ancora che maturasse l’iniziativa referendaria, un pacchetto di emendamenti per reintrodurre quel che il Consiglio aveva temperato: i pieni poteri esecutivi in capo al Presidente, con le funzioni di governo distribuite sempre su dodici persone (otto assessori “d’ordinanza”, due “aggiuntivi” e due delegati del Presidente), non più però secondo la legge, bensì con decreto presidenziale. Questione legale: sulla vicenda Saatchi&Saatchi il Consiglio regionale si è espresso in modo unanime sull’invalidità della gara e sulle conseguenti responsabilità amministrative. Ma l’esecutivo stenta a prenderne atto. Politiche finanziarie e di bilancio: la Corte dei Conti ha sollevato il problema sostanziale della necessità di coprire disavanzi e spese con risorse reali e non virtuali. Ma l’atto di controllo dei giudici è stato qualificato come un attentato politico. Intanto tre leggi finanziarie approvate con crescenti ritardi hanno indotto un effetto cumulativo: famiglie e imprese sono con l’acqua alla gola, nella vana attesa di quel che resta degli incentivi regionali (siano essi per il diritto allo studio, per il master and back, per l’artigianato, per la piccola e media impresa, per l’agricoltura), ma anche questo luglio trascorrerà senza la puntuale predisposizione del DAPEF e del bilancio per il prossimo esercizio. Politiche industriali e dello sviluppo: i vertici romani si sono rivelati improduttivi, ma non solo. La riproposizione di vecchi moduli (rivendicazioni verso lo Stato o partecipazione diretta della Regione nel salvataggio di aziende) è sintomo dell’assenza di una cultura dello sviluppo basata sulla promozione interna e sull’attrazione dall’esterno di industrie competitive, non energivore, non inquinanti, ad alto valore aggiunto. Ambiente: si avverte un abbassamento della guardia, tanto più rischioso in quanto coincide con una recrudescenza degli incendi che può vanificare i risultati conseguiti in ben tre stagioni consecutive di eccellenti risultati. Il presidio del territorio richiede un impulso forte sulla sua manutenzione e un suo uso sostenibile non può prescindere dal legame con le attività umane. Viceversa, mentre sul versante dell’interno si sta incancrenendo la crisi del mondo agricolo e zootecnico, sul fronte costiero il Piano Paesaggistico approvato della Regione non contrasta l’uso distorto del territorio (credo che non si sia costruito mai come è avvenuto a partire dall’annullamento della precedente pianificazione paesaggistica fino ad oggi, col consolidamento una legislazione dei fatti salvi e di una pianificazione fondata sulle deroghe), ma contribuisce alla rottura delle appartenenze. E’ un mero piano di ridistribuzione di valori fondiari e come tale è avvertito: acuisce i conflitti, non li risolve. Ferma è la strategia dei parchi, sparito il piano forestale-ambientale, oscurato il piano di tutela della qualità delle acque (mentre incombe, a causa dei costi di gestione di Abbanoa, la privatizzazione della risorsa), fermi i disegni di legge sull’inquinamento atmosferico e acustico, al palo le bonifiche (altro che muri), in stand by la politica capillare e strutturale dei rifiuti (dopo l’impennata della raccolta differenziata registrata negli anni 2005-2006, oggi il tema sembra esaurirsi col progetto del nuovo termovalorizzatore). Insomma, materiale per una verifica seria ce ne sarebbe. Invece tutto si è incentrato nella confusa richiesta di “nuovi assetti” non meglio definiti. Il Presidente tenta di reprimere quella che, non del tutto a torto, gli appare una sedizione senza capo né coda e continua a puntare su un mero completamento (non particolarmente esaltante, per dire la verità) dei ranghi dell’esecutivo. Può persino permettersi una meschinità come il motu proprio di espulsione dalla maggioranza del rappresentante in Consiglio regionale di Sardegna e Libertà, l’unico che non gli ha chiesto alcun posto né in Giunta né nel sottobosco amministrativo. Non sarebbe di sinistra (padron Tiscali invece sì, ora che si accinge a diventare anche padrone – o azionista di maggioranza- del P.D. sardo). Dal canto loro i piccoli gruppi della sinistra ufficiale si beano delle briciole: R.C. sostituisce la sua rappresentanza in conformità agli equilibri congressuali; Sinistra Autonomistica chiede l’”azzeramento totale” della Giunta e intanto gabella per suo un assessore di stretta proposta presidenziale. Siamo alle danze sul Titanic. Eppure sarebbe non solo bene, ma anche doveroso, a sinistra, avviare una riflessione e un’iniziativa seria e rigorosa per evitare che la speranza di cambiare in meglio la Sardegna faccia un definitivo disastroso naufragio.


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