IL FATTORE – GENOVA
- o si cambia o si muore-
- o si cambia o si muore-
di
Carlo Dore jr.
I commenti proposti da tutta l’opinione pubblica in ordine all’esito delle consultazioni amministrative del 28 e 29 maggio sono stati, per una volta, concordemente ispirati ad una logica di estremo equilibrio. Una volta concluse le operazioni di voto, i dati oggetto delle definitive proiezioni rendono indispensabili due considerazioni preliminari: malgrado l’emorragia di consensi sofferta al centro-nord, la coalizione che sostiene il Governo (grazie ai successi ottenuti a Genova, L’Aquila e Agrigento) ha vacillato senza crollare; la tanto temuta spallata con cui Berlusconi prometteva di rovesciare la leadership di Prodi alla lunga non c’è stata.
Tuttavia, all’interno dell’Unione i campanelli d’allarme sono tanti e non possono essere ignorati, anche in considerazione del fatto che i principali segnali del disagio in cui versa l’elettorato progressista trovano in una “roccaforte rossa” come Genova la loro principale cassa di risonanza.
Le dimensioni sostanzialmente modeste dell’affermazione riportata dal centro-sinistra nel capoluogo ligure, l’elevatissimo astensionismo, le durissime reprimende rivolte da Sergio Chiamparino e dalla stessa Marta Vincenzi in confronto dei partiti della coalizione costituiscono in questo senso segnali inequivocabili del malessere che serpeggia crescente all’interno del popolo della sinistra, della frattura sempre più ampia che divide la politica dalla società civile.
Premesso che i risultati ora in commento sembrano confermare (considerata la sonora stroncatura a cui le liste dell’Ulivo sono andate incontro in tutto il territorio nazionale) che il nascente PD deve essere qualificato non già alla stregua di un fattore di semplificazione ma semmai di complicazione della crisi politica in atto, spetta ora all’Esecutivo porre in essere quel tanto auspicato “cambio di passo”, presupposto indispensabile per riconquistare il consenso perduto a seguito dell’attuazione di una strategia complessiva di cui (dalle incertezze sui DICO all’approvazione dell’indulto; dalla decuplicazione del numero di ministri e sottosegretari all’immobilismo ostentato sui temi della giustizia e dell’etica pubblica) i cittadini faticano a comprendere presupposti e prospettive.
Così ragionando, le priorità che devono caratterizzare l’azione dell’Esecutivo in questa nuova fase sono le stesse che emergono dalla prima lettura del programma dell’Unione: in particolare, la rinnovata forza d’urto ostentata dal Caimano nel corso della campagna elettorale appena conclusa ha confermato una volta di più la necessità dell’approvazione di una legge che, risolvendo la questione del conflitto di interessi con l’incisività di cui clamorosamente difetta il c.d. disegno-Gentiloni, ponga fine una volta per tutte a quell’assurda commistione tra politica e potere economico che tuttora costituisce la principale anomalia del sistema – Italia.
Inoltre, il fattore - Genova è indicativo dell’esigenza di procedere ad una radicale opera di moralizzazione della res publica, esigenza resa ancor più stringente dai recenti studi condotti in ordine ai costi della politica e dalle percentuali relative alla massiccia presenza nelle istituzioni di soggetti indagati, rinviati a giudizio o addirittura condannati in via definitiva per reati infamanti (talvolta – è il caso dell’on. Previti – anche alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici).
Approvazione di una legge sul conflitto di interessi, abrogazione delle leggi-vergogna, riproposizione della questione morale: questi i primi punti da cui l’Unione deve partire per avviare quella reale fase di cambiamento, quella effettiva strategia di deberlusconizzazione del Paese di cui da troppo tempo l’elettorato progressista attende l’attuazione. Il fattore-Genova ha messo per l’ultima volta in rilievo la necessità di attuare questo cambiamento: riprendendo il monito paradossalmente pronunciato proprio da Piero Fassino prima del congresso del 2001, per il centro-sinistra al momento vale davvero la logica secondo cui “o si cambia, o si muore”.
I commenti proposti da tutta l’opinione pubblica in ordine all’esito delle consultazioni amministrative del 28 e 29 maggio sono stati, per una volta, concordemente ispirati ad una logica di estremo equilibrio. Una volta concluse le operazioni di voto, i dati oggetto delle definitive proiezioni rendono indispensabili due considerazioni preliminari: malgrado l’emorragia di consensi sofferta al centro-nord, la coalizione che sostiene il Governo (grazie ai successi ottenuti a Genova, L’Aquila e Agrigento) ha vacillato senza crollare; la tanto temuta spallata con cui Berlusconi prometteva di rovesciare la leadership di Prodi alla lunga non c’è stata.
Tuttavia, all’interno dell’Unione i campanelli d’allarme sono tanti e non possono essere ignorati, anche in considerazione del fatto che i principali segnali del disagio in cui versa l’elettorato progressista trovano in una “roccaforte rossa” come Genova la loro principale cassa di risonanza.
Le dimensioni sostanzialmente modeste dell’affermazione riportata dal centro-sinistra nel capoluogo ligure, l’elevatissimo astensionismo, le durissime reprimende rivolte da Sergio Chiamparino e dalla stessa Marta Vincenzi in confronto dei partiti della coalizione costituiscono in questo senso segnali inequivocabili del malessere che serpeggia crescente all’interno del popolo della sinistra, della frattura sempre più ampia che divide la politica dalla società civile.
Premesso che i risultati ora in commento sembrano confermare (considerata la sonora stroncatura a cui le liste dell’Ulivo sono andate incontro in tutto il territorio nazionale) che il nascente PD deve essere qualificato non già alla stregua di un fattore di semplificazione ma semmai di complicazione della crisi politica in atto, spetta ora all’Esecutivo porre in essere quel tanto auspicato “cambio di passo”, presupposto indispensabile per riconquistare il consenso perduto a seguito dell’attuazione di una strategia complessiva di cui (dalle incertezze sui DICO all’approvazione dell’indulto; dalla decuplicazione del numero di ministri e sottosegretari all’immobilismo ostentato sui temi della giustizia e dell’etica pubblica) i cittadini faticano a comprendere presupposti e prospettive.
Così ragionando, le priorità che devono caratterizzare l’azione dell’Esecutivo in questa nuova fase sono le stesse che emergono dalla prima lettura del programma dell’Unione: in particolare, la rinnovata forza d’urto ostentata dal Caimano nel corso della campagna elettorale appena conclusa ha confermato una volta di più la necessità dell’approvazione di una legge che, risolvendo la questione del conflitto di interessi con l’incisività di cui clamorosamente difetta il c.d. disegno-Gentiloni, ponga fine una volta per tutte a quell’assurda commistione tra politica e potere economico che tuttora costituisce la principale anomalia del sistema – Italia.
Inoltre, il fattore - Genova è indicativo dell’esigenza di procedere ad una radicale opera di moralizzazione della res publica, esigenza resa ancor più stringente dai recenti studi condotti in ordine ai costi della politica e dalle percentuali relative alla massiccia presenza nelle istituzioni di soggetti indagati, rinviati a giudizio o addirittura condannati in via definitiva per reati infamanti (talvolta – è il caso dell’on. Previti – anche alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici).
Approvazione di una legge sul conflitto di interessi, abrogazione delle leggi-vergogna, riproposizione della questione morale: questi i primi punti da cui l’Unione deve partire per avviare quella reale fase di cambiamento, quella effettiva strategia di deberlusconizzazione del Paese di cui da troppo tempo l’elettorato progressista attende l’attuazione. Il fattore-Genova ha messo per l’ultima volta in rilievo la necessità di attuare questo cambiamento: riprendendo il monito paradossalmente pronunciato proprio da Piero Fassino prima del congresso del 2001, per il centro-sinistra al momento vale davvero la logica secondo cui “o si cambia, o si muore”.