mercoledì 30 maggio 2007

Bush, il messia della guerra

di

Luca Scroccu

Il prossimo 9 giugno il presidente Bush verrà in visita ufficiale nel nostro paese. A sinistra si discute, e molto, se sia opportuno o no manifestare contro il presidente americano. Non si vorrebbe che in Italia si facesse una cosa che negli Stati Uniti avviene quasi quotidianamente: protestare pacificamente contro uno dei presidenti peggiori della storia americana. Sembra che qualche leader del centrosinistra, come Piero Fassino, abbia paura che i Ferrara e i "chierici alla guerra" (come li ha definiti nel suo bellissimo saggio omonimo recentemente edito da Bollati Boringhieri lo storico Angelo D'Orsi) scaglino i loro anatemi contro la "sinistra antiamericana". A prescindere dal fatto che non si comprende bene come una persona che si definisce di sinistra possa essere pregiudizialmente "anti" un popolo o un singolo individuo (caratteristica più consona alla destra), stupisce ancora una volta l'immaturità di certi esponenti politici incapaci di leggere e storicizzare il ruolo ricoperto da George W. Bush nella storia contemporanea. Ma forse, rivedendo certi precedenti, non c'è da meravigliarsi: Furio Colombo scrisse un bellissimo articolo sull'Unità del 27 novembre del 2004 all'interno del quale raccontò di una riunione nella sezione "Forte Aurelio Bravetta"dei DS romani in cui era stato invitato per commentare le elezioni presidenziali insieme ad un giovane esponente della nomenklatura diessina della capitale, tale Fabio Nicolucci. Nell'occasione, il giovane si espresse in un peana della strategia elettorale di Bush, vero interprete della società americana, dicendo che aveva vinto su Kerry perché aveva saputo toccare corde profonde, interessi e valori di molta gente. Colombo né uscì sconvolto e si chiese: "Con chi parlo?". Argomentazioni perlomeno rischiose, se non altro per il semplice motivo che tutto il disegno di esportazione della democrazia con le armi dell'amministrazione americana non ha certo contribuito a stabilizzare la regione.
A queste persone sembra sfuggire, insomma, il carattere eccezionale di questo presidente colpevole di aver piegato la religione civile statunitense, che tanto ha dato alla cultura mondiale, per creare una religione della politica, tradizionalista ed integralista nel richiamo al popolo eletto e alla "missione" americana, di cui si è servito per giustificare le sue imprese belliche successive all'11 settembre (fondate, giova ripeterlo, sulla esibizione all'ONU di prove false create ad arte). Bush è stato indubbiamente abile, almeno in una certa fase, nel portare avanti il legame tra l'esplicito invito a considerare l'America come il migliore dei mondi possibili, attraverso un curioso impasto di retorica utile a nascondere ben diversi interessi terreni, e una altrettanto esplicita credenza religioso-radicale, che ha portato a creare una vera Bible Belt (una cintura della bibbia) che attraversa gli stati del Sud e dell'Ovest (redneck agenda). Da qui anche tutto l'armamentario di immagini messianiche con cui gli uomini dello staff di Bush hanno infarcito e infarciscono i suoi discorsi presidenziali (peraltro, se si pensa alle recenti vicende che hanno determinato l'allontanamento di uno degli uomini più vicini a Bush, Paul Wolfowitz, dalla presidenza della Banca Mondiale, si può comprendere bene come questo discorso si fermi ad un mero piano ideologico). Una ripresa di un connubio che avevamo conosciuto nel Novecento soltanto negli esprimenti dei diversi totalitarismi, e che ci dovrebbe ricordare, come ha scritto uno storico autorevole ed equilibrato come Emilio Gentile nel suo "La Democrazia di Dio. La religione americana nell'era dell'impero e del terrore", edito da Laterza nel 2006, che quando religione e politica congiungono le loro forze nell'esercizio del potere, la libertà e la dignità umana possono essere messe in discussione in maniera molto seria.La guerra portata avanti da Bush è stata una risposta irrazionale ai problemi del nostro tempo; la cosa grave è che a farlo sia stato l'uomo più potente sulla terra. Il mondo forse ha sottovalutato la carica radicalmente alternativa di questa presidenza. Quella dei neocons è stata infatti una convergenza strategica tra la destra tradizionale classica e il radicalismo intellettuale intessuto da una visione estremistica di tipo democratico-imperiale (a partire dal suo assunto più noto: la democrazia si esporta con le armi), nutrita da un'idea di cambiamento rivoluzionario che non ammette mediazioni e riflessioni critiche. È la teorizzazione di una nuova America alternativa alla vecchia Europa, secondo la nota definizione di uno dei maggiori esponente neo-cons, Robert Kagan. Importare la democrazia con la forza è un non senso storico di cui tutti stiamo pagando le conseguenze.
Tiziano Terzani, un grande intellettuale, giornalista e uomo di pace scrisse nel lontano 1972, in uno dei suoi bellissimi reportage dal Vietnam, un concetto semplice ma fondamentale: "La guerra è una cosa triste, ma ancora più triste è il fatto che ci si fa l'abitudine". Sta a noi, alla nostra volontà di impegnarci a partire dal quotidiano per un mondo diverso e migliore, fare sì che non la guerra, ma la pace e la giustizia sociale diventino abitudine. Con G.W. Bush, tutto questo, purtroppo, non è mai successo.

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