Se prendiamo il meglio della nostra storia l’unità è possibile
di
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Andrea Pubusa
Di una cosa dobbiamo convincerci tutti a sinistra, e cioè che se puntiamo a salvaguardare puntigliosamente le nostre identità faremo un bel flop. La storia del ‘900 è così travagliata, ricca di rotture e divisioni che guardare le cose dallo specchietto retrovisore non ci farà fare molti passi in avanti. Eppure il socialismo ed il comunismo italiano non sono solo un cumulo di errori, come di tutto rispetto è la tradizione liberalsocialista. Il risultato incontestabilmente più positivo e più grande in Italia di questi filoni è la Costituzione repubblicana, non a caso nata dal quell’ineguagliato movimento unitario che è stata la Resistenza. Ed allora perché non assumere a base del processo unitario a sinistra le idee forza della nostra Carta fondamentale, leggendola con gli occhi dei comunisti, dei socialisti e degli azionisti di quella mirabile e appassionata stagione e aggiornandola con quanto di meglio e di nuovo ha prodotto la cultura della sinistra in questi 60 anni. Può sembrare minimalista. Ma lo è davvero? Pensate – parafrasando la Costituzione - ad un Partito democratico fondato sul lavoro, nel quale la sovranità spetti agli iscritti e agli elettori. Prese sul serio queste idee-forza ci danno un soggetto politico del tutto nuovo perché se c’è un carattere che i partiti, anche quelli di sinistra, non hanno avuto in passato è il carattere democratico. Oggi sono agglomerati di un notabilato politico che pensa a perpetuare se stesso nelle istituzioni e nei centri di potere, senza alcuna missione generale. Studiare e praticare con rigore la democrazia interna è un fatto del tutto rivoluzionario. Come lo è fondare il nuovo soggetto politico sul lavoro, assumendo così a sua idea-forza l’elemento di critica e antitesi più radicale e irriducibile al capitalismo. Non è un caso che la deriva attuale (ad esempio della maggioranza DS e, già si vede, del PD) è riconducibile all’assunzione del lavoro come uno dei tanti punti di riferimento, ma non come quello principale e assorbente.
Che dire poi del principio di eguaglianza che nel testo costituzionale imprime un movimento perenne alle forze che lo prendono seriamente a riferimento, ponendo al centro della loro azione una dialettica permanente fra i risultati acquisiti e quelli da raggiungere. Moto permanente e perenne contro le tragiche tendenze di adagiarsi sulle posizioni di potere o di governo raggiunte. Contro l’idea della società socialista come società compiuta e soltanto da difendere (quante tragedie in quest’idea!) Ed ancora dialettica che coinvolge tutti i soggetti istituzionali e politici, ma innanzitutto – come si legge nell’art. 3 della Costituzione – si fonda sulla partecipazione dei lavoratori, che così cessano di essere i destinatari delle conquiste delle forze progressiste per esserne loro stessi i protagonisti. In fondo, sta in questa tensione permanente verso l’eguaglianza l’essenza del socialismo, e su questa idea tutti possiamo convergere. Diviene così anche del tutto normale e non più oggetto di discussione che la nuova forza della sinistra deve realizzare la parità di genere, scegliendo – per non sbagliare – in ogni occasione in cui si debba farlo prima le donne e poi gli uomini.
Tutto questo dev’essere attraversato dal pacifismo, dall’ambientalismo e dalla nuova frontiera dei diritti, campo di ricerca e di lotta che è forse il tratto più caratterizzante e ricorrente delle forze della sinistra almeno in Italia e che arricchisce il bagaglio originario del movimento operaio e socialista.
Ecco, qui, in una lettura di sinistra delle idee forze della nostra Carta fondamentale stà la matrice comune di tutte le forze a sinistra del PD ed è su di essa che in positivo possiamo trovare il programma comune per unirci, dai socialisti ai comunisti agli ambientalisti, assumendo tutti una nuova e più ricca identità. Poi per fortuna non avremo tutti le stesse idee né le stesse propensioni per cui questo nuovo partito sarà vivo perché attraversato da tutte le tensioni pratiche e ideali che si agitano nella società. E qui il carattere democratico e aperto del nuovo soggetto deve riuscire a far sì che questa dialettica si svolga nel rispetto e nell’arricchimento reciproco anziché in laceranti e mortificanti lotte di fazione.
E’ inutile dire che una forza del genere si da una pratica e delle regole che impediscono la formazione di oligarchie, di mandarini e di gerontocrazie, che hanno sempre caratterizzato le forze della sinistra in particolare in Italia. La politica come funzione e le cariche istituzionali come incarichi pro tempore favoriscono, col rinnovo reale e continuo dei gruppi dirigenti, la circolazione delle idee e l’acquisizione di energie fresche e dinamiche. Non dimentichiamo che tutte le rivoluzioni o le fasi d’intenso riformismo sono opera di giovani e di giovanissimi.
In definitiva di una cosa dobbiamo convincerci tutti a sinistra, e cioè che per unirci dobbiamo anzitutto compiere in noi stessi, nel nostro modo di organizzarci e lottare insieme, quella rivoluzione culturale e morale di cui ci ha detto il pensatore di Ales (oggi tanto ricordato nelle cerimonie quanto dimenticato nella prassi). E’ difficile, ma dobbiamo provarci.
Di una cosa dobbiamo convincerci tutti a sinistra, e cioè che se puntiamo a salvaguardare puntigliosamente le nostre identità faremo un bel flop. La storia del ‘900 è così travagliata, ricca di rotture e divisioni che guardare le cose dallo specchietto retrovisore non ci farà fare molti passi in avanti. Eppure il socialismo ed il comunismo italiano non sono solo un cumulo di errori, come di tutto rispetto è la tradizione liberalsocialista. Il risultato incontestabilmente più positivo e più grande in Italia di questi filoni è la Costituzione repubblicana, non a caso nata dal quell’ineguagliato movimento unitario che è stata la Resistenza. Ed allora perché non assumere a base del processo unitario a sinistra le idee forza della nostra Carta fondamentale, leggendola con gli occhi dei comunisti, dei socialisti e degli azionisti di quella mirabile e appassionata stagione e aggiornandola con quanto di meglio e di nuovo ha prodotto la cultura della sinistra in questi 60 anni. Può sembrare minimalista. Ma lo è davvero? Pensate – parafrasando la Costituzione - ad un Partito democratico fondato sul lavoro, nel quale la sovranità spetti agli iscritti e agli elettori. Prese sul serio queste idee-forza ci danno un soggetto politico del tutto nuovo perché se c’è un carattere che i partiti, anche quelli di sinistra, non hanno avuto in passato è il carattere democratico. Oggi sono agglomerati di un notabilato politico che pensa a perpetuare se stesso nelle istituzioni e nei centri di potere, senza alcuna missione generale. Studiare e praticare con rigore la democrazia interna è un fatto del tutto rivoluzionario. Come lo è fondare il nuovo soggetto politico sul lavoro, assumendo così a sua idea-forza l’elemento di critica e antitesi più radicale e irriducibile al capitalismo. Non è un caso che la deriva attuale (ad esempio della maggioranza DS e, già si vede, del PD) è riconducibile all’assunzione del lavoro come uno dei tanti punti di riferimento, ma non come quello principale e assorbente.
Che dire poi del principio di eguaglianza che nel testo costituzionale imprime un movimento perenne alle forze che lo prendono seriamente a riferimento, ponendo al centro della loro azione una dialettica permanente fra i risultati acquisiti e quelli da raggiungere. Moto permanente e perenne contro le tragiche tendenze di adagiarsi sulle posizioni di potere o di governo raggiunte. Contro l’idea della società socialista come società compiuta e soltanto da difendere (quante tragedie in quest’idea!) Ed ancora dialettica che coinvolge tutti i soggetti istituzionali e politici, ma innanzitutto – come si legge nell’art. 3 della Costituzione – si fonda sulla partecipazione dei lavoratori, che così cessano di essere i destinatari delle conquiste delle forze progressiste per esserne loro stessi i protagonisti. In fondo, sta in questa tensione permanente verso l’eguaglianza l’essenza del socialismo, e su questa idea tutti possiamo convergere. Diviene così anche del tutto normale e non più oggetto di discussione che la nuova forza della sinistra deve realizzare la parità di genere, scegliendo – per non sbagliare – in ogni occasione in cui si debba farlo prima le donne e poi gli uomini.
Tutto questo dev’essere attraversato dal pacifismo, dall’ambientalismo e dalla nuova frontiera dei diritti, campo di ricerca e di lotta che è forse il tratto più caratterizzante e ricorrente delle forze della sinistra almeno in Italia e che arricchisce il bagaglio originario del movimento operaio e socialista.
Ecco, qui, in una lettura di sinistra delle idee forze della nostra Carta fondamentale stà la matrice comune di tutte le forze a sinistra del PD ed è su di essa che in positivo possiamo trovare il programma comune per unirci, dai socialisti ai comunisti agli ambientalisti, assumendo tutti una nuova e più ricca identità. Poi per fortuna non avremo tutti le stesse idee né le stesse propensioni per cui questo nuovo partito sarà vivo perché attraversato da tutte le tensioni pratiche e ideali che si agitano nella società. E qui il carattere democratico e aperto del nuovo soggetto deve riuscire a far sì che questa dialettica si svolga nel rispetto e nell’arricchimento reciproco anziché in laceranti e mortificanti lotte di fazione.
E’ inutile dire che una forza del genere si da una pratica e delle regole che impediscono la formazione di oligarchie, di mandarini e di gerontocrazie, che hanno sempre caratterizzato le forze della sinistra in particolare in Italia. La politica come funzione e le cariche istituzionali come incarichi pro tempore favoriscono, col rinnovo reale e continuo dei gruppi dirigenti, la circolazione delle idee e l’acquisizione di energie fresche e dinamiche. Non dimentichiamo che tutte le rivoluzioni o le fasi d’intenso riformismo sono opera di giovani e di giovanissimi.
In definitiva di una cosa dobbiamo convincerci tutti a sinistra, e cioè che per unirci dobbiamo anzitutto compiere in noi stessi, nel nostro modo di organizzarci e lottare insieme, quella rivoluzione culturale e morale di cui ci ha detto il pensatore di Ales (oggi tanto ricordato nelle cerimonie quanto dimenticato nella prassi). E’ difficile, ma dobbiamo provarci.
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