lunedì 21 maggio 2007

POLITICA ED ANTIPOLITICA
di
Carlo Dore jr.

Nell’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” del 20 maggio, Massimo d’Alema, chiamato a tracciare un bilancio del primo anno di governo dell’Unione, ha rilevato che la stagione attuale risulta caratterizzata da una profonda crisi del rapporto tra politica e cittadini, assai simile, nei suoi connotati essenziali, a quella che attraversò il Paese durante la bufera di Tangentopoli. Insomma, per il Ministro degli Esteri, un pericoloso fantasma si aggira per l’Italia: il fantasma dell’Antipolitica; e questo fantasma deve essere neutralizzato, prima che la neonata Seconda repubblica piombi nel caos più totale.
Tuttavia, come giustamente ha osservato Cesare Salvi, è a questo punto necessario domandarsi da quale fonte il fantasma dell’Antipolitica trae vita; occorre, in altre parole, comprendere quali siano le cause dell’effettiva, crescente sfiducia che i cittadini manifestano verso la res publica.
Per offrire una risposta adeguata ad un simile interrogativo, è a mio parere opportuno fare un passo indietro, per procedere ad una riflessione di ampio respiro. Si è infatti più volte affermato come, durante il ‘900, il nostro Paese è stato squassato da conflitti laceranti, pervaso da ideali elevati, infiammato da passioni intense, diviso da battaglie civili di enorme portata. Gramsci e don Sturzo, Pertini e Gobetti, Moro e Berlinguer costituiscono le più emblematiche icone di questa appassionante stagione, la più chiara rappresentazione di quel sistema di valori che della migliore politica costituiva il prodotto.
Ma questo sistema di valori è stato gradualmente affogato dai mille scandali, dalle sanguinose stragi, dagli intricati misteri che, all’ombra della Milano da bere, hanno fatto da cornice all’epopea del CAF, all’instaurazione di quel sistema corruttivo che, cavalcando l’onda lunga dell’anticomunismo, aveva individuato nella fitta rete di rapporti che intercorreva tra i partiti, il mondo economico-imprenditoriale e determinati settori della malavita il fulcro stesso della vita dello Sato.
In questo senso, Tangentopoli ha costituito un’occasione: l’occasione per la “Politica” di riprendersi lo spazio che il malcostume di certi “politicanti” le aveva negato. Ma paradossalmente la rivoluzione di Mani Pulite ha coinciso con l’ascesa di Berlusconi, ovvero con il trionfo dell’Antipoltica, di un leader di cartapesta capace –con il suo sorriso da copertina e l’arroganza che solo il potere economico più sfrenato può attribuire- di rendersi espressione del popolo del Grande Fratello come degli adepti di Baget Bozzo, degli squadristi della nuova destra come dei colletti bianchi di Villa d’Este, dei patinati Dell’Utri Boys come delle camice verdi di Borghezio e Calderoni.
Invece di contrastare l’imperversare del Caimano attraverso una strategia di governo incisiva e coerente con i valori di cui dovrebbe essere espressione, il centro-sinistra è finora caduto nell’errore (già rivelatosi fatale nel 2001) di cedere proprio alla tentazione del dalemismo, alla logica del graduale annacquamento dei grandi ideali, del “sereno confronto istituzionale” preferito allo “scontro frontale”, dell’irresistibile vocazione per l’inciucio.
Il disegno del PD, di un partito in grado, proprio in quanto privo di una chiara ideologia di riferimento, di riunire sotto lo stesso tetto cattolici integralisti e (presunti) paladini della laicità dello Stato, ex comunisti ed ex democristiani, imprenditori senza scrupoli e vecchi leoni di piazza costituisce la più netta affermazione di questa logica, un'altra vittoria dell’Antipolitica sulla Buona Politica.
Denunciando la sfiducia con cui i cittadini si rivolgono alle Istituzioni, la costante diffusione che incontra la massima del “tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera”, il Ministro degli Esteri guarda ora con orrore al mostro che egli stesso ha contribuito a creare, e manifesta la necessità che questa stagione di crisi venga superata al più presto, prima che la medesima si completi con la totale erosione dell’attuale classe dirigente.
Ma per riuscire in questo obiettivo, occorre che la politica riacquisti la sua dimensione di veicolo di passioni e di valori, di strumento preposto ad assecondare le esigenze dei cittadini e non di più o meno consistenti gruppi di potere. In questo senso, l’esperienza di Sinistra Democratica, di un movimento che, partendo dal basso, si propone di creare, con la forza delle idee, quella sinistra unita e senza aggettivi di cui da troppo tempo l’elettorato progressista auspica l’attuazione, potrebbe rivelarsi funzionale al perseguimento del suddetto obiettivo. Dopo anni di dalemismo, il progetto elaborato da Fabio Mussi potrebbe davvero costituire una prima risposta di effettiva partecipazione alle logiche dirigiste che troppo spesso hanno caratterizzato il funzionamento dei partiti tradizionali, un primo momento di riaffermazione della Buona Politica sul vuoto dell’Antipolitica.

Nessun commento: