L’ISOLA DELLA TORTUGA
di
Carlo Dore jr.
Assistendo al dibattito relativo al caso “Visco – Speciale” svoltosi in Senato lo scorso mercoledì, ho avuto la triste sensazione di essere lo spettatore impotente di un monumentale elogio del paradosso.
Sotto certi aspetti paradossale è stata infatti la pur efficace ed incisiva relazione del ministro Padoa-Schioppa, posto che il Governo non ha chiarito la ratio della (allo stato ingiustificabile) decisione di destinare un militare evidentemente inaffidabile e poco rigoroso nell’adempimento dei suoi doveri come il gen. Speciale a ricoprire un prestigioso incarico in seno alla Corte dei Conti. Per altri versi, ancor più paradossale è parso il peana rivolto alla Guardia di Finanza da quegli stessi esponenti della Casa della Libertà che, tra tangenti e conti cifrati, prescrizioni e sconti di pena, indulti e scioperi fiscali hanno per cinque anni reso l’Italia assimilabile ad una sorta di moderna versione dell’Isola della Tortuga.
Tuttavia, deve per una volta essere riconosciuto a Piero Fassino il merito di avere rilevato come un vento torbido spira al momento in Italia, un vento alimentato dall’esistenza di una sorta di cospirazione posta in essere dagli ambienti più conservatori del Paese per attentare alla stabilità dell’Esecutivo in carica. Premesso che l’esistenza di un simile status quo richiama alla memoria i giorni tristi degli anni ’70, in cui una sorta di Stato nello Stato fece tremare le fondamenta stesse delle istituzioni democratiche, occorre a questo punto domandarsi: chi governa questo disegno eversivo? E soprattutto: quali condizioni oggettive hanno permesso a questa perversa ondata reazionaria di svilupparsi con tanta rapidità?
In ordine al primo degli interrogati proposti, sembra difficile contestare l’affermazione secondo cui Berlusconi, forte dell’incommensurabile potere mediatico di cui dispone, è riuscito nell’arco di un anno a mettersi a capo di un’autentica crociata antiprogressista, assecondando le pulsioni integraliste che attualmente pervadono settori centrali del mondo cattolico e favorendo le velleità di carriera proprie di un ristretto gruppo di gallonati (la valutazione del cui operato, è bene precisarlo, non intacca in alcun modo il rispetto e la riconoscenza che il Paese intero deve alle Forze Armate) .
La stucchevole passerella compiuta dal Caimano in occasioni del Familiy day, le clamorose rivelazioni offerte dal generale Speciale al quotidiano di casa Mediaset (già utilizzato in passato come strumento per clamorose campagne d’accusa in confronti di alcuni esponenti del centro-sinistra, rivelatesi peraltro alla lunga qualificabili più come numeri d’avanspettacolo che come inchieste giornalistiche degne di tale nome), il solenne: “Sempre agli ordini!” con cui il suddetto generale Speciale ha confermato la sua personale deferenza al Cavaliere di Arcore costituiscono solo alcuni degli elementi idonei a confermare la correttezza di questo assunto. Politici disinvolti, porporati sensibili al richiamo del potere, militari ambiziosi: ancora una volta la realtà italiana sembra superare la complessità della più fantasiosa spy story.
Tutto ciò chiarito, venendo ora al secondo del quesiti in precedenza formulati, non si comprende la ragione per cui l’Unione persista nell’errore di considerare alla stregua di un interlocutore credibile quell’oscuro imprenditore milanese che (a causa della già rilevata sovrapposizione tra potere politico, incidenza mediatica e disponibilità economiche) conferma ancora una volta di costituire un fattore destabilizzante per il corretto funzionamento delle regole democratiche.
In questo senso, l’approvazione di una legge che (precludendo l’assunzione di un ruolo politicamente sensibile a chiunque risulti essere, direttamente o indirettamente, nella condizione di esercitare un potere di controllo con riferimento ad una determinata attività economica) risolva in maniera radicale il problema del conflitto di interessi non deve essere interpretata come un atto di ritorsione verso un avversario politico scomodo, ma come una sfida di civiltà che un Paese moderno non può rifiutarsi di affrontare. Una democrazia degna di tale nome non può infatti correre il rischio di essere ancora assimilabile all’Isola della Tortuga.
Assistendo al dibattito relativo al caso “Visco – Speciale” svoltosi in Senato lo scorso mercoledì, ho avuto la triste sensazione di essere lo spettatore impotente di un monumentale elogio del paradosso.
Sotto certi aspetti paradossale è stata infatti la pur efficace ed incisiva relazione del ministro Padoa-Schioppa, posto che il Governo non ha chiarito la ratio della (allo stato ingiustificabile) decisione di destinare un militare evidentemente inaffidabile e poco rigoroso nell’adempimento dei suoi doveri come il gen. Speciale a ricoprire un prestigioso incarico in seno alla Corte dei Conti. Per altri versi, ancor più paradossale è parso il peana rivolto alla Guardia di Finanza da quegli stessi esponenti della Casa della Libertà che, tra tangenti e conti cifrati, prescrizioni e sconti di pena, indulti e scioperi fiscali hanno per cinque anni reso l’Italia assimilabile ad una sorta di moderna versione dell’Isola della Tortuga.
Tuttavia, deve per una volta essere riconosciuto a Piero Fassino il merito di avere rilevato come un vento torbido spira al momento in Italia, un vento alimentato dall’esistenza di una sorta di cospirazione posta in essere dagli ambienti più conservatori del Paese per attentare alla stabilità dell’Esecutivo in carica. Premesso che l’esistenza di un simile status quo richiama alla memoria i giorni tristi degli anni ’70, in cui una sorta di Stato nello Stato fece tremare le fondamenta stesse delle istituzioni democratiche, occorre a questo punto domandarsi: chi governa questo disegno eversivo? E soprattutto: quali condizioni oggettive hanno permesso a questa perversa ondata reazionaria di svilupparsi con tanta rapidità?
In ordine al primo degli interrogati proposti, sembra difficile contestare l’affermazione secondo cui Berlusconi, forte dell’incommensurabile potere mediatico di cui dispone, è riuscito nell’arco di un anno a mettersi a capo di un’autentica crociata antiprogressista, assecondando le pulsioni integraliste che attualmente pervadono settori centrali del mondo cattolico e favorendo le velleità di carriera proprie di un ristretto gruppo di gallonati (la valutazione del cui operato, è bene precisarlo, non intacca in alcun modo il rispetto e la riconoscenza che il Paese intero deve alle Forze Armate) .
La stucchevole passerella compiuta dal Caimano in occasioni del Familiy day, le clamorose rivelazioni offerte dal generale Speciale al quotidiano di casa Mediaset (già utilizzato in passato come strumento per clamorose campagne d’accusa in confronti di alcuni esponenti del centro-sinistra, rivelatesi peraltro alla lunga qualificabili più come numeri d’avanspettacolo che come inchieste giornalistiche degne di tale nome), il solenne: “Sempre agli ordini!” con cui il suddetto generale Speciale ha confermato la sua personale deferenza al Cavaliere di Arcore costituiscono solo alcuni degli elementi idonei a confermare la correttezza di questo assunto. Politici disinvolti, porporati sensibili al richiamo del potere, militari ambiziosi: ancora una volta la realtà italiana sembra superare la complessità della più fantasiosa spy story.
Tutto ciò chiarito, venendo ora al secondo del quesiti in precedenza formulati, non si comprende la ragione per cui l’Unione persista nell’errore di considerare alla stregua di un interlocutore credibile quell’oscuro imprenditore milanese che (a causa della già rilevata sovrapposizione tra potere politico, incidenza mediatica e disponibilità economiche) conferma ancora una volta di costituire un fattore destabilizzante per il corretto funzionamento delle regole democratiche.
In questo senso, l’approvazione di una legge che (precludendo l’assunzione di un ruolo politicamente sensibile a chiunque risulti essere, direttamente o indirettamente, nella condizione di esercitare un potere di controllo con riferimento ad una determinata attività economica) risolva in maniera radicale il problema del conflitto di interessi non deve essere interpretata come un atto di ritorsione verso un avversario politico scomodo, ma come una sfida di civiltà che un Paese moderno non può rifiutarsi di affrontare. Una democrazia degna di tale nome non può infatti correre il rischio di essere ancora assimilabile all’Isola della Tortuga.
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