giovedì 14 giugno 2007

Sa martinicca? Siamo in guerra!

di
Michele Panebianco (essere vivente)



L'Italia ha già vissuto scenari di guerra, in tempi remoti ed anche recenti; ma solo un numero molto ridotto di lettori era nato o ha memoria diretta di quando Cagliari fu bombardata, ma naturalmente ne siamo venuti a conoscenza egualmente. Si usava bombardare una città, i residenti sfollavano nelle campagne (chi poteva), c'era un'etica anche nei bombardamenti. Andate a raccontarlo ai civili di tutte le guerre, andate a chiederlo a chi ha vissuto e subito anche a Cagliari gli effetti di un bombardamento, andate a spiegarlo ai morti di Hiroshima o di Falluja, o del Vietnam, o della Cecenia, o dell'Afghanistan, o in Jugoslavia, o in Nigeria, in Ruanda, cos'è l'etica dei bombardamenti, cos'è un'azione strategica chirurgica, come si comporta una bomba intelligente.

Certo, non ci sono più le guerre di una volta. Che bei tempi, quando eserciti con divisa rossa e blu si accoppavano allegramente in una grande pianura, fra soli militari! Con elefanti, cavalli, cimieri al vento, sciabole scintillanti! Che bei tempi!

Poi, messa da parte la mitologia della "bella guerra" e la sua rappresentazione agiografica, letteraria e cinematografica, bisogna ricordarsi anche degli stupri, delle rapine, dei bottini di guerra, dei genocidi, del terrore, da Gengis Khan a Napoleone, da Giulio Cesare a Hitler, da PolPot a Stalin, da Ramses ad Alessandro, da Bush a Milosevic, da Amin a Saddam...

Chi non ricorda il film "Tutti a casa" con Alberto Sordi? Non si riusciva a capire come i liberatori, i buoni, gli Alleati anglo-americani, prima ti bombardano, e uccidono, poi ti liberano, e bisogna anche festeggiare. Prima gli alleati erano i tedeschi, ed i nemici gli americani; poi gli alleati sono gli americani, ed i tedeschi nemici. Non si riusciva a capire nulla, ti sparavano addosso tutti, come sicuramente non capisce il bambino mutilato ed ucciso dalle mine e dalle cluster-bomb in Somalia, in Cecenia, in Serbia, in Iraq, In Afghanistan, Vietnam, Corea, Darfur, Palestina, ecc. ecc. ecc., dai bombardamenti, dal fuoco amico, dal fuoco nemico, (chi è il nemico?), dal fuoco e dalla spada, che vuol dire sangue, terrore, sofferenza, tragedia, incomprensibilità: per essere liberi, veramente liberi, per essere giusti, veramente giusti, democratici, per battere il tiranno, per vivere meglio, per ottenere tutto ciò bisogna morire, essere mutilati, bisogna veder morire intere moltitudini di amici, di genitori, di figli, veder distrutta la propria casa, avere fame, essere poveri, molto più poveri, e convivere con la disperazione per anni, decenni: in nome di cosa?

A Cagliari, come oggi in Afghanistan, c'era “sa martinicca", così veniva chiamata dai cagliaritani la borsa nera. Alla parola si associava il concetto: martinicca uguale guerra. C'erano gli sciacalli, c'erano i ladri, i signori della guerra, c'erano gli approfittatori, c'era il riaffiorare di tutto il peggio del comportamento umano, c'era l'assenza totale di regole, un lusso di cui ci si può dotare in condizioni di equilibrio, di pace.

Ci si riempie tutti la bocca di pace. Tutti. Tutti noi, che abbiamo la bandiera multicolore appesa al balcone, tutti noi che sentiamo di essere di sinistra, che solidarizziamo con i movimenti per la pace, tutti noi, e tutti voi, che siete credenti in Dio, un qualunque Dio, il quale vuole la pace; tutti noi occidentali, che abbiamo la pancia piena, che guardiamo distrattamente oppure, al contrario, addirittura con commozione le tragedie in diretta, tutti noi che da quando siamo nati non abbiamo sentito la puzza del sangue e della carne maciullata di un padre, di un fratello, di un passante innocente, estraneo; tutti noi, privi della memoria storica, anche la più recente. Che però giudichiamo, con severità, le barbarie altrui. Tutti noi che non ci rendiamo conto, pensando quindi di essere dalla parte del giusto, dalla parte dei "buoni", di non essere in pace, ma complici e quindi artefici delle ingiustizie, pur inconsapevoli. Ma ciò non rappresenta una giustificazione, non può divenire un alibi.

Quando si parla in astratto, per esempio di pace, è facile trovare sintonia e comunione d'intenti. Si, siamo tutti d’accordo, sin quando si tratta di enunciare principi e di buone intenzioni.

Ma come si entra nel merito emergono le differenze, tutto diventa più difficile, ci si deve sporcare le mani: cosa fare per una politica di pace, concretamente, ora ed adesso, in medio oriente, in Africa, in Asia, ecc., in uno scenario dominato da retaggi storici, da lutti, dolore, rancori, differenze culturali secolari, morti accatastati per secoli, in un contesto di economia globalizzata anglo-americana, e di noi occidentali di fatto alleati e di fatto complici, in un mondo che ha l'inglese come lingua unificatrice (sarà un caso?), con le guerre locali ammantate da ideologia, ma originate dalla necessità della detenzione del controllo petrolifero? Delle guerre che sono una sola guerra, ora chiamata "globale", ma che risponde alla stessa logica di sempre; il più forte ha gli eserciti più potenti, in funzione del proprio benessere in spregio delle vite, e culture, e benessere altrui. Le ragioni dei deboli sono deboli, la reazione dei deboli si classifica "radicale", "massimalista", "terrorista", “sovversiva”. Ricordiamo che anche i partigiani erano così classificati. Solo per parlare della recente storia italiana, anche Gobetti, Gramsci, Pertini, a suo tempo, furono incarcerati o uccisi con le stesse argomentazioni.

Se ci si sforza di analizzare freddamente, razionalmente quanto è avvenuto nella storia, si possono trarre grandi insegnamenti e linee di condotta per il presente. Cercando anche di non far prevalere gli aspetti ideologici su quelli meramente pratici. Andiamo a parlare di pace a chi la pace non la conosce, trasmettiamo un filmato del G8 o del Papa in Darfur, o a Kabul. Non potremmo nemmeno trasmettere nulla, colà non c'è nemmeno la corrente elettrica, c'è solo la legge della giungla.
Per analogia, andiamo anche a parlare di politica, di etica, a chi non ottiene risposte sul figlio disoccupato, sul prezzo della roba da mangiare, sulla bolletta della corrente, sul suo futuro.

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Salvare la sinistra: ok
Unirla: va bene

Questa sinistra mondiale, italiana, sarda mi appare in guerra. Una guerra della giungla, in veste di preda. Una guerra di posizione, difensiva. Una guerra non dichiarata, in cui non si voleva entrare, in cui non ci si vuole spendere, in cui non si trovano motivi di entusiasmo e capacità di dare risposte ideali ed al contempo concrete, pensando forse che si potesse vivere di rendita, sfruttando una rendita di posizione; una guerra che avrebbe bisogno di persone dotate di coraggio, di coerenza, una guerra che non ha bisogno di eroi (in ogni caso, non temiate, non ce ne sono!).

In guerra non ci sono più le leggi, le regole, è illusorio appellarsi a queste. Ci sono solo persone con potere, che lo utilizzano al loro servizio, non al servizio collettivo. E ci sono anche quelli, la maggioranza, che questo potere non ce l'hanno. Così come chi aveva messo da parte grandi o piccole quantità di farina faceva la "martinicca", o chi aveva carburante ed una ruspa ne faceva speculazione sui disperati, o chi aveva armi le vendeva a peso d'oro. Poi c'erano i partigiani, quegli "strani". Bisogna proprio essere degli stronzi illusi ed idealisti, ad essere partigiani. Salvo, poi, saltare sul loro carro, appellandosi ai principi della costituzione repubblicana nascente dalla loro opera e dal loro pensiero, ed a cui, in pectore, dicono di essersi tutti ispirati.

Quali sono gli strumenti del potere? Si può condensare il concetto in una sola parola: FORZA. Quella economica, militare, di gestione delle informazioni da elargire e da strumentalizzare.
Questo assioma è valido su vasta scala, nei contesti mondiali in qualunque epoca, e lo possiamo rendere valido anche, per traslazione e per analogia, all'attività politica locale e nazionale.

Abbiamo regole? NO, forse in passato le avevamo, pur poche e confuse, ma efficaci per unire gli intenti. E' necessario darsene di nuove, immediatamente.

Abbiamo forza? NO, forse in passato l'avevamo, almeno quella etica e ideale, anche di consenso elettorale e popolare. E' necessario recuperarla, parlando ed agendo in modo semplice, rigoroso, lineare.

C'è ancora la "martinicca"? SI, ci sono pochi che possiedono lo zucchero e la farina, e ne fanno un'arma di ricatto. E' necessario stroncarla.

Abbiamo una stella polare? SI, come l'avevano i partigiani. Sarebbe interessante sapere se stiamo tutti volgendo lo sguardo verso la stessa stella.

Bisogna avere il coraggio di rischiare, cioè perdere oggi qualcosa di sicuro, per avere qualcosa di migliore, forse, domani.


Alla prossima puntata

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