REFERENDUM SEGNI – GUZZETTA: LE RAGIONI DEL NO
di
Federica Grimaldi
Il Referendum Segni-Guzzetta da alcuni è stato definito un referendum-truffa.
Nel linguaggio comune il termine truffa evoca quella situazione nella quale si fornisce a qualcuno una falsa rappresentazione della realtà per convincerlo a cedere un suo diritto.
Io credo che con il referendum Segni-Guzzetta ci si trovi esattamente in questa situazione: i promotori del SI, al fine di convincerci a rinunciare a parte della nostra sovranità popolare, ci rappresentano questa riforma elettorale come la panacea dei mali del nostro paese.
Crisi della politica e crisi delle istituzioni. Questi, ci dicono, sono i mali dell’Italia. Come superarli? Creando una struttura di Governo stabile e forte. Per ottenere questo occorre innanzitutto ridurre a due soli partiti il variegato panorama politico nazionale. Ci chiedono dunque di scegliere in maniera netta, chiara e semplice se votare a destra o a sinistra.
Un cartellone con una settantina di simboli, a rappresentare l’intricata selva del panorama politico italiano, non rassicura chi, stanco di attendere l’ennesima caduta del Governo in carica, desidera solamente stabilità. Due grossi cerchi, uno azzurro e uno rigorosamente rosso, stanno ad indicare invece la sicurezza di chi fa una la scelta giusta! La scelta chiara!
Ma è veramente così? Davvero il referendum Segni-Guzzetta renderà il Governo dell’Italia più stabile? Davvero, come sostengono i promotori del SI, renderà ancora più democratico il nostro sistema elettorale?
Noi di Sinistra Democratica pensiamo che accadrà esattamente il contrario.
Il referendum in questione prevede che la lista o il partito che prenderà più voti avrà automaticamente un premio di maggioranza, pari al 66% dei seggi. I seggi restanti verranno assegnati allo schieramento che ha perso, che, automaticamente, diventerà opposizione. Ci saranno poi una serie di piccoli partiti che fungeranno da vedette. Questi però esisteranno solo se avranno superato lo sbarramento del 4% alla Camera e 8% al Senato.
Ci potremo dunque trovare nella condizione di consegnare il paese ad una lista o ad un partito che, pur avendo una maggioranza relativa, anche molto bassa, avrà una maggioranza assoluta in Parlamento.
La modifica proposta da questo referendum elettorale consentirebbe quindi ad una sola forza politica, cioè quella risultata prima magari con una percentuale del 20%, di aggiudicarsi il premio assicurandosi così oltre il 60% dei seggi. Perfino la legge Acerbo del 1923, prevedeva che il “listone fascista” per poter avere la maggioranza dei seggi dovesse quantomeno raggiungere il 25% delle preferenze. Nella riforma Segni-Guzzetta, invece, non c’è un limite minimo!
Questa riforma elettorale, lungi dal semplificare le cose: le complica. E le complica perché è evidente che per poter vincere i partiti si riuniranno in “listoni” composti in maniera del tutto eterogenea, con l’unico scopo di accaparrarsi quella manciata di voti in più che serviranno a farli essere primi. Ma una volta finite le elezioni si assisterebbe ad una separazione in Parlamento con una evidente conflittualità tra le diverse fazioni. Nessuna stabilità quindi,ma accordi tra stati maggiori per vincere e guidare il paese, ad ogni costo.
La Costituzione, lo ricordiamo, non consente che ci sia alcuna limitazione alla partecipazione di tutti cittadini, anche attraverso i partiti politici, alla determinazione delle scelte politiche del paese.
La decisione invece di eliminare con un colpo di spugna tutti i partiti che non raggiungano una certa percentuale di voti va nella direzione opposta: non tutela le minoranze, ma le cancella, virando pericolosamente verso un svolta autoritaria in cui ai cittadini viene di fatto tolta ogni possibilità di partecipare, attraverso l’esercizio del diritto di voto, alla scelta dei propri rappresentanti.
Sono sotto gli occhi di tutti i deleteri effetti della nota “porcata” di Calderoli. Questa nuova riforma elettorale non solo non ne migliora i difetti, ma ne conserva integra la struttura impedendo agli elettori di scegliere direttamente i loro rappresentanti, che verranno invece selezionati dai vertici dei partiti, riducendo il compito del cittadino sovrano a quello d’una umiliante ratifica, che tutto è tranne che una scelta.
Una delle caratteristiche dei sistemi autoritari, lo ricordiamo, è l’eliminazione di tutte le minoranze, di tutte le voci fuori dal coro.
L’unica e sola voce deve essere quella del Governo. E l’opposizione, si potrebbe obiettare, l’opposizione avrà il compito di vigilare sulla maggioranza di Governo.
La presenza di due soli partiti o schieramenti, che DEVONO ad ogni costo vincere perché ne va della loro possibilità di esercitare in maniera netta il proprio potere, tenderanno sempre di più a voler piacere agli elettori. Per far questo le differenze tra i due schieramenti saranno sempre meno marcate, con il rischio di arrivare al punto di non rappresentare nessuno, se non se stessi e il potere che li sostiene.
L’abbattimento di ogni dialettica interna ai partiti e alle coalizioni di Governo, li ridurrà a contenitori privi di contenuti.
Inoltre, la non rappresentanza degli interessi di categorie deboli, che attualmente vengono assicurate proprio dalla presenza di partiti specifici, significherà l’abbandono da parte dei partiti e dei Governi di sacche di popolazione sempre più ampie e sempre meno rappresentate.
La politica italiana sta attraversando una stagione di secca. È in crisi, sono in crisi le istituzioni, sono in crisi i partiti. Questi non sono più in grado di dire nulla ai loro elettori. Sono organismi evanescenti, coacervi di potere. I costi della politica e la formazione di un ceto che si è enormemente allargato di politici di professione che vive in condizioni di assoluto privilegio, sono temi fondamentali per comprendere le cause della crisi in atto. La politica come professione è frutto dello stato moderno, ma in Italia oramai si è venuta a formare una vera e propria casta.
Se la classe politica rappresenta una sorta di cancrena che divora tutte le risorse del nostro paese, come si può solamente pensare che la soluzione stia nel consegnare proprio nelle mani di un gruppo ristretto di rappresentanti di questa casta tutto questo potere?
Se il problema è che la politica è ormai distante dai cittadini, può definirsi una soluzione ampliare quell’abisso, e anzi utilizzare la sensazione diffusa di distacco per ottenere ancora più distacco e quindi l’assenza di controllo? Perché di questo si tratterebbe.
L’articolo 49 della Costituzione recita che “tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi in partiti per concorrere liberamente a determinare la politica nazionale”.
Tutti i cittadini, quindi. Non solo alcuni. Non solo quelli che hanno, per mezzo di rapporti clientelari mantenuti e coltivati a caro prezzo, la possibilità di creare un partito che ha certi numeri.
Impedire infatti che i piccoli partiti, le piccole liste civiche possano continuare ad esistere, significa limitare pesantemente la libertà e la democrazia del nostro paese.
I partiti politici già da tempo non sono più gli strumenti che i cittadini hanno per esercitare il loro diritto di decidere chi dovrà rappresentarli. Si chiama “democrazia rappresentativa”. Ovvero, le scelte che riguardano l’intera collettività vengono prese non direttamente da coloro che ne fanno parte, ma da persone elette dalla collettività a questo scopo.
Già questo principio è da tempo venuto meno, in un sistema nel quale i candidati vengono scelti non con una leale competizione elettorale, ma dalle segreterie dei partiti.
La riforma renderà partiti ancora più autoreferenziali, e finirà col rendere le istituzioni più deboli e meno trasparenti.
Perché democrazia non sia solo una parola priva di contenuti, occorre che siano rispettati alcuni criteri fondamentali. Oltre che trasparenti le scelte di governo devono anche essere sottoposte a controllo. Un sistema che non ha qualcuno che controlla che le azioni di governo siano fatte nell’interesse della collettività non è un sistema democratico.
di
Federica Grimaldi
Il Referendum Segni-Guzzetta da alcuni è stato definito un referendum-truffa.
Nel linguaggio comune il termine truffa evoca quella situazione nella quale si fornisce a qualcuno una falsa rappresentazione della realtà per convincerlo a cedere un suo diritto.
Io credo che con il referendum Segni-Guzzetta ci si trovi esattamente in questa situazione: i promotori del SI, al fine di convincerci a rinunciare a parte della nostra sovranità popolare, ci rappresentano questa riforma elettorale come la panacea dei mali del nostro paese.
Crisi della politica e crisi delle istituzioni. Questi, ci dicono, sono i mali dell’Italia. Come superarli? Creando una struttura di Governo stabile e forte. Per ottenere questo occorre innanzitutto ridurre a due soli partiti il variegato panorama politico nazionale. Ci chiedono dunque di scegliere in maniera netta, chiara e semplice se votare a destra o a sinistra.
Un cartellone con una settantina di simboli, a rappresentare l’intricata selva del panorama politico italiano, non rassicura chi, stanco di attendere l’ennesima caduta del Governo in carica, desidera solamente stabilità. Due grossi cerchi, uno azzurro e uno rigorosamente rosso, stanno ad indicare invece la sicurezza di chi fa una la scelta giusta! La scelta chiara!
Ma è veramente così? Davvero il referendum Segni-Guzzetta renderà il Governo dell’Italia più stabile? Davvero, come sostengono i promotori del SI, renderà ancora più democratico il nostro sistema elettorale?
Noi di Sinistra Democratica pensiamo che accadrà esattamente il contrario.
Il referendum in questione prevede che la lista o il partito che prenderà più voti avrà automaticamente un premio di maggioranza, pari al 66% dei seggi. I seggi restanti verranno assegnati allo schieramento che ha perso, che, automaticamente, diventerà opposizione. Ci saranno poi una serie di piccoli partiti che fungeranno da vedette. Questi però esisteranno solo se avranno superato lo sbarramento del 4% alla Camera e 8% al Senato.
Ci potremo dunque trovare nella condizione di consegnare il paese ad una lista o ad un partito che, pur avendo una maggioranza relativa, anche molto bassa, avrà una maggioranza assoluta in Parlamento.
La modifica proposta da questo referendum elettorale consentirebbe quindi ad una sola forza politica, cioè quella risultata prima magari con una percentuale del 20%, di aggiudicarsi il premio assicurandosi così oltre il 60% dei seggi. Perfino la legge Acerbo del 1923, prevedeva che il “listone fascista” per poter avere la maggioranza dei seggi dovesse quantomeno raggiungere il 25% delle preferenze. Nella riforma Segni-Guzzetta, invece, non c’è un limite minimo!
Questa riforma elettorale, lungi dal semplificare le cose: le complica. E le complica perché è evidente che per poter vincere i partiti si riuniranno in “listoni” composti in maniera del tutto eterogenea, con l’unico scopo di accaparrarsi quella manciata di voti in più che serviranno a farli essere primi. Ma una volta finite le elezioni si assisterebbe ad una separazione in Parlamento con una evidente conflittualità tra le diverse fazioni. Nessuna stabilità quindi,ma accordi tra stati maggiori per vincere e guidare il paese, ad ogni costo.
La Costituzione, lo ricordiamo, non consente che ci sia alcuna limitazione alla partecipazione di tutti cittadini, anche attraverso i partiti politici, alla determinazione delle scelte politiche del paese.
La decisione invece di eliminare con un colpo di spugna tutti i partiti che non raggiungano una certa percentuale di voti va nella direzione opposta: non tutela le minoranze, ma le cancella, virando pericolosamente verso un svolta autoritaria in cui ai cittadini viene di fatto tolta ogni possibilità di partecipare, attraverso l’esercizio del diritto di voto, alla scelta dei propri rappresentanti.
Sono sotto gli occhi di tutti i deleteri effetti della nota “porcata” di Calderoli. Questa nuova riforma elettorale non solo non ne migliora i difetti, ma ne conserva integra la struttura impedendo agli elettori di scegliere direttamente i loro rappresentanti, che verranno invece selezionati dai vertici dei partiti, riducendo il compito del cittadino sovrano a quello d’una umiliante ratifica, che tutto è tranne che una scelta.
Una delle caratteristiche dei sistemi autoritari, lo ricordiamo, è l’eliminazione di tutte le minoranze, di tutte le voci fuori dal coro.
L’unica e sola voce deve essere quella del Governo. E l’opposizione, si potrebbe obiettare, l’opposizione avrà il compito di vigilare sulla maggioranza di Governo.
La presenza di due soli partiti o schieramenti, che DEVONO ad ogni costo vincere perché ne va della loro possibilità di esercitare in maniera netta il proprio potere, tenderanno sempre di più a voler piacere agli elettori. Per far questo le differenze tra i due schieramenti saranno sempre meno marcate, con il rischio di arrivare al punto di non rappresentare nessuno, se non se stessi e il potere che li sostiene.
L’abbattimento di ogni dialettica interna ai partiti e alle coalizioni di Governo, li ridurrà a contenitori privi di contenuti.
Inoltre, la non rappresentanza degli interessi di categorie deboli, che attualmente vengono assicurate proprio dalla presenza di partiti specifici, significherà l’abbandono da parte dei partiti e dei Governi di sacche di popolazione sempre più ampie e sempre meno rappresentate.
La politica italiana sta attraversando una stagione di secca. È in crisi, sono in crisi le istituzioni, sono in crisi i partiti. Questi non sono più in grado di dire nulla ai loro elettori. Sono organismi evanescenti, coacervi di potere. I costi della politica e la formazione di un ceto che si è enormemente allargato di politici di professione che vive in condizioni di assoluto privilegio, sono temi fondamentali per comprendere le cause della crisi in atto. La politica come professione è frutto dello stato moderno, ma in Italia oramai si è venuta a formare una vera e propria casta.
Se la classe politica rappresenta una sorta di cancrena che divora tutte le risorse del nostro paese, come si può solamente pensare che la soluzione stia nel consegnare proprio nelle mani di un gruppo ristretto di rappresentanti di questa casta tutto questo potere?
Se il problema è che la politica è ormai distante dai cittadini, può definirsi una soluzione ampliare quell’abisso, e anzi utilizzare la sensazione diffusa di distacco per ottenere ancora più distacco e quindi l’assenza di controllo? Perché di questo si tratterebbe.
L’articolo 49 della Costituzione recita che “tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi in partiti per concorrere liberamente a determinare la politica nazionale”.
Tutti i cittadini, quindi. Non solo alcuni. Non solo quelli che hanno, per mezzo di rapporti clientelari mantenuti e coltivati a caro prezzo, la possibilità di creare un partito che ha certi numeri.
Impedire infatti che i piccoli partiti, le piccole liste civiche possano continuare ad esistere, significa limitare pesantemente la libertà e la democrazia del nostro paese.
I partiti politici già da tempo non sono più gli strumenti che i cittadini hanno per esercitare il loro diritto di decidere chi dovrà rappresentarli. Si chiama “democrazia rappresentativa”. Ovvero, le scelte che riguardano l’intera collettività vengono prese non direttamente da coloro che ne fanno parte, ma da persone elette dalla collettività a questo scopo.
Già questo principio è da tempo venuto meno, in un sistema nel quale i candidati vengono scelti non con una leale competizione elettorale, ma dalle segreterie dei partiti.
La riforma renderà partiti ancora più autoreferenziali, e finirà col rendere le istituzioni più deboli e meno trasparenti.
Perché democrazia non sia solo una parola priva di contenuti, occorre che siano rispettati alcuni criteri fondamentali. Oltre che trasparenti le scelte di governo devono anche essere sottoposte a controllo. Un sistema che non ha qualcuno che controlla che le azioni di governo siano fatte nell’interesse della collettività non è un sistema democratico.
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