REFERENDUM: L’AUTOGOL DI VELTRONI
di
Carlo Dore jr.
Dopo l’ormai celebre discorso attraverso cui Walter Veltroni ha ufficializzato la propria candidatura alla guida del Partito Democratico, il sindaco di Roma è stato individuato da un’ampia schiera di vecchi barricaderi delle aule parlamentari, ora riciclatisi nel ruolo di riformisti made in USA, come il campione della “buona politica” in grado di smantellare - grazie alla sua concezione “lieve” della dialettica democratica, imperniata sul confronto e non sullo scontro, sulle soluzioni concrete e non sui vuoti proclami ideologici – quella grigia “casta” di potere, privilegi e rendite di posizione attraverso cui l’antipolitica attualmente opprime la società italiana.
Tuttavia, la necessità di traghettare il centro-sinistra fuori dalle secche dell’antipolitica non ha impedito all’ex segretario del PDS di manifestare la propria adesione (rigorosamente virtuale e non effettiva) alla recente proposta di referendum abrogativo della legge elettorale che dei principi dell’antipolitica costituisce una perfetta attuazione.
Alcuni tra i più eminenti costituzionalisti italiani hanno infatti più volte rilevato come il “referendum truffa” sostenuto da Giovanni Guzzetta e dal sempreverde Mariotto Segni, lungi dall’essere finalizzato al perseguimento degli obiettivi della semplificazione della politica e della stabilità del sistema, risulta esclusivamente diretto a rafforzare (attraverso il consolidamento del sistema delle “liste bloccate” e l’attribuzione un elevato premio di maggioranza alla lista che riporta i maggiori consensi, indipendentemente dal numero effettivo di voti conseguiti dalla stessa) il controllo delle segreterie dei partiti più forti sulla vita della res publica, a stabilizzare quindi la già citata rete di clientele, connivenze e rendite di posizione che rappresenta il sostrato fondamentale della famosa “casta” descritta nel libro di Rizzo e Stella.
Premesso che costituisce una macroscopica contraddizione in termini l’assunto in base alla quale il buon esito della campagna referendaria imporrebbe alle Camere un’accelerazione in ordine all’approvazione della riforma della legge elettorale (in una democrazia evoluta non può infatti considerarsi necessario un referendum peggiorativo dell’ordinamento preesistente per indurre il Parlamento ad esercitare la funzione legislativa ad esso attribuita dalla Carta Costituzionale), la causa effettiva di questo primo, macroscopico autogol compiuto dal Sindaco di Roma deve essere ancora una volta ricercata in quell’insieme di contraddizioni e di equivoci su cui si basa la strategia diretta alla creazione del PD, più volte descritto come una forza politica realizzata non già per rispondere alle istanze quotidianamente proposte dal popolo progressista, ma per garantire la conservazione di quella stessa classe dirigente a cui va imputata la responsabilità dell’emorragia di consensi subita dai DS negli ultimi dieci anni.
Tutto ciò premesso, un leader che intende avviare un effettivo processo di cambiamento della politica non può delineare le linee programmatiche che devono caratterizzare la sua azione attraverso mere strategie di compromesso: forte di un consenso quasi unanime in seno alla maggioranza di Governo, Veltroni è tenuto ad impegnare i parlamentari dell’Unione nell’elaborazione di una riforma della legge elettorale in grado di garantire rappresentatività e governabilità, semplificazione e stabilità del sistema.
E in questo senso, la proposta (avanzata da determinati settori della sinistra c.d. “radicale”) diretta all’introduzione di un sistema proporzionale corretto, caratterizzato cioè dalle preferenze individuali in seno alla singola lista e da un’elevata soglia di sbarramento, può costituire una ragionevole base di discussione per avviare questa stagione di riforme, considerato che tale proposta non risulta essere in alcun modo influenzata da quelle logiche di tipo trasversale rispetto alle quali gli attuali sostenitori del movimento referendario hanno dimostrato più volte di non essere estranei.
Dopo l’ormai celebre discorso attraverso cui Walter Veltroni ha ufficializzato la propria candidatura alla guida del Partito Democratico, il sindaco di Roma è stato individuato da un’ampia schiera di vecchi barricaderi delle aule parlamentari, ora riciclatisi nel ruolo di riformisti made in USA, come il campione della “buona politica” in grado di smantellare - grazie alla sua concezione “lieve” della dialettica democratica, imperniata sul confronto e non sullo scontro, sulle soluzioni concrete e non sui vuoti proclami ideologici – quella grigia “casta” di potere, privilegi e rendite di posizione attraverso cui l’antipolitica attualmente opprime la società italiana.
Tuttavia, la necessità di traghettare il centro-sinistra fuori dalle secche dell’antipolitica non ha impedito all’ex segretario del PDS di manifestare la propria adesione (rigorosamente virtuale e non effettiva) alla recente proposta di referendum abrogativo della legge elettorale che dei principi dell’antipolitica costituisce una perfetta attuazione.
Alcuni tra i più eminenti costituzionalisti italiani hanno infatti più volte rilevato come il “referendum truffa” sostenuto da Giovanni Guzzetta e dal sempreverde Mariotto Segni, lungi dall’essere finalizzato al perseguimento degli obiettivi della semplificazione della politica e della stabilità del sistema, risulta esclusivamente diretto a rafforzare (attraverso il consolidamento del sistema delle “liste bloccate” e l’attribuzione un elevato premio di maggioranza alla lista che riporta i maggiori consensi, indipendentemente dal numero effettivo di voti conseguiti dalla stessa) il controllo delle segreterie dei partiti più forti sulla vita della res publica, a stabilizzare quindi la già citata rete di clientele, connivenze e rendite di posizione che rappresenta il sostrato fondamentale della famosa “casta” descritta nel libro di Rizzo e Stella.
Premesso che costituisce una macroscopica contraddizione in termini l’assunto in base alla quale il buon esito della campagna referendaria imporrebbe alle Camere un’accelerazione in ordine all’approvazione della riforma della legge elettorale (in una democrazia evoluta non può infatti considerarsi necessario un referendum peggiorativo dell’ordinamento preesistente per indurre il Parlamento ad esercitare la funzione legislativa ad esso attribuita dalla Carta Costituzionale), la causa effettiva di questo primo, macroscopico autogol compiuto dal Sindaco di Roma deve essere ancora una volta ricercata in quell’insieme di contraddizioni e di equivoci su cui si basa la strategia diretta alla creazione del PD, più volte descritto come una forza politica realizzata non già per rispondere alle istanze quotidianamente proposte dal popolo progressista, ma per garantire la conservazione di quella stessa classe dirigente a cui va imputata la responsabilità dell’emorragia di consensi subita dai DS negli ultimi dieci anni.
Tutto ciò premesso, un leader che intende avviare un effettivo processo di cambiamento della politica non può delineare le linee programmatiche che devono caratterizzare la sua azione attraverso mere strategie di compromesso: forte di un consenso quasi unanime in seno alla maggioranza di Governo, Veltroni è tenuto ad impegnare i parlamentari dell’Unione nell’elaborazione di una riforma della legge elettorale in grado di garantire rappresentatività e governabilità, semplificazione e stabilità del sistema.
E in questo senso, la proposta (avanzata da determinati settori della sinistra c.d. “radicale”) diretta all’introduzione di un sistema proporzionale corretto, caratterizzato cioè dalle preferenze individuali in seno alla singola lista e da un’elevata soglia di sbarramento, può costituire una ragionevole base di discussione per avviare questa stagione di riforme, considerato che tale proposta non risulta essere in alcun modo influenzata da quelle logiche di tipo trasversale rispetto alle quali gli attuali sostenitori del movimento referendario hanno dimostrato più volte di non essere estranei.
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