Garibaldi e il bicentenario che non piace alla Lega e all’MPA
di
Gianluca Scroccu
Come italiano ho provato vergogna nell’assistere alla gazzarra messa in atto da Lega Nord e Movimento delle Autonomie in occasione della solenne celebrazione in onore di Garibaldi svoltasi a Palazzo Madama di fronte al Presidente della Repubblica Napolitano e ai due Presidenti di Camera e Senato Bertinotti e Marini. Nonostante decine di bergamaschi abbiano fatto parte della spedizione dei Mille, Calderoli&co. hanno potuto tranquillamente gridare ai quattro venti, e con la consueta finezza, di essere in lutto perché Garibaldi, in combutta con i Savoia, arrecò danni colossali al Nord, mentre il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo non è voluto esser da meno sostenendo che per colpa del nizzardo il Sud sarebbe stato allontanato dalla prosperità garantita dai Borboni. Per fortuna si tratta di sparute prese di posizione, e lo Stato italiano sta degnamente celebrando l’eroe dei due mondi con iniziative preparate appositamente nell’ambito del bicentenario: si susseguono convegni (uno molto importante si è svolto in Sardegna alcune settimane fa nell’amata Caprera), mostre, ricorrenze e non solo in Italia. Diverse sono poi le pubblicazioni uscite in questi giorni, tra cui si segnalano “Camicie Rosse”, di Eva Cecchinato, edito da Laterza, che ricostruisce la parabola delle camicie rosse dalla nascita del Regno d'Italia fino al 1915, e “Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato” di Mario Isnenghi, edito da Donzelli, dove l’autore ha indagato la genesi e le varie modificazioni coeve e destinate a rimanere sino al Novecento del mito garibaldino. Particolarmente significativa è poi la nuova biografia, sempre edita da Laterza, della storica inglese Lucy Riall e intitolata emblematicamente “Garibaldi l’invenzione di un eroe”. È in particolare da questo volume che esce fuori uno studio accurato del mito di Garibaldi, la forza della sua immagine così popolare e globale nello stesso tempo, inserita all’ interno di un percorso studiato e costruito ad arte, seppur sempre su un sostrato di eventi autentici e concreti, finalizzato a renderlo tra i protagonisti di quella religione civile che avrebbe dovuto cementare lo spirito della neonata nazione italiana. Del resto, come sostiene la Riall, Garibaldi fu un abile controllore della sua immagine, ben consapevole del nesso che già allora andava creandosi tra politica e sistemi di comunicazione di massa, in quella fase in piena espansione. In sostanza, per la storica inglese, Garibaldi deve essere interpretato sotto due chiavi di lettura: la prima è quella relativa alla sua vita concreta di leader politico e militare; la seconda è quella relativa alla crescita del suo mito come capo carismatico e popolare. La forza del Generale fu insomma quella di una grande figura della politica in senso democratico, capace cioè di entrare nel mito e nell’immaginario di tutta la popolazione e non solo di una ristretta elite. Che poi Raffaele Lombardo o Federico Bricolo non accettino questa ricorrenza garibaldina importa poco: noi oggi ricordiamo il bicentenario della nascita di Garibaldi e continueremo a farlo per ricordare un Padre della Patria anche nei prossimi decenni. Dubito invece che si celebreranno in futuro le “imprese” di Giovanni Pistorio, Mario Borghezio o di un Roberto Calderoli; anzi forse sarebbe meglio che cadano quanto prima nell’oblio della storia.
di
Gianluca Scroccu
Come italiano ho provato vergogna nell’assistere alla gazzarra messa in atto da Lega Nord e Movimento delle Autonomie in occasione della solenne celebrazione in onore di Garibaldi svoltasi a Palazzo Madama di fronte al Presidente della Repubblica Napolitano e ai due Presidenti di Camera e Senato Bertinotti e Marini. Nonostante decine di bergamaschi abbiano fatto parte della spedizione dei Mille, Calderoli&co. hanno potuto tranquillamente gridare ai quattro venti, e con la consueta finezza, di essere in lutto perché Garibaldi, in combutta con i Savoia, arrecò danni colossali al Nord, mentre il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo non è voluto esser da meno sostenendo che per colpa del nizzardo il Sud sarebbe stato allontanato dalla prosperità garantita dai Borboni. Per fortuna si tratta di sparute prese di posizione, e lo Stato italiano sta degnamente celebrando l’eroe dei due mondi con iniziative preparate appositamente nell’ambito del bicentenario: si susseguono convegni (uno molto importante si è svolto in Sardegna alcune settimane fa nell’amata Caprera), mostre, ricorrenze e non solo in Italia. Diverse sono poi le pubblicazioni uscite in questi giorni, tra cui si segnalano “Camicie Rosse”, di Eva Cecchinato, edito da Laterza, che ricostruisce la parabola delle camicie rosse dalla nascita del Regno d'Italia fino al 1915, e “Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato” di Mario Isnenghi, edito da Donzelli, dove l’autore ha indagato la genesi e le varie modificazioni coeve e destinate a rimanere sino al Novecento del mito garibaldino. Particolarmente significativa è poi la nuova biografia, sempre edita da Laterza, della storica inglese Lucy Riall e intitolata emblematicamente “Garibaldi l’invenzione di un eroe”. È in particolare da questo volume che esce fuori uno studio accurato del mito di Garibaldi, la forza della sua immagine così popolare e globale nello stesso tempo, inserita all’ interno di un percorso studiato e costruito ad arte, seppur sempre su un sostrato di eventi autentici e concreti, finalizzato a renderlo tra i protagonisti di quella religione civile che avrebbe dovuto cementare lo spirito della neonata nazione italiana. Del resto, come sostiene la Riall, Garibaldi fu un abile controllore della sua immagine, ben consapevole del nesso che già allora andava creandosi tra politica e sistemi di comunicazione di massa, in quella fase in piena espansione. In sostanza, per la storica inglese, Garibaldi deve essere interpretato sotto due chiavi di lettura: la prima è quella relativa alla sua vita concreta di leader politico e militare; la seconda è quella relativa alla crescita del suo mito come capo carismatico e popolare. La forza del Generale fu insomma quella di una grande figura della politica in senso democratico, capace cioè di entrare nel mito e nell’immaginario di tutta la popolazione e non solo di una ristretta elite. Che poi Raffaele Lombardo o Federico Bricolo non accettino questa ricorrenza garibaldina importa poco: noi oggi ricordiamo il bicentenario della nascita di Garibaldi e continueremo a farlo per ricordare un Padre della Patria anche nei prossimi decenni. Dubito invece che si celebreranno in futuro le “imprese” di Giovanni Pistorio, Mario Borghezio o di un Roberto Calderoli; anzi forse sarebbe meglio che cadano quanto prima nell’oblio della storia.
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